
Perfect Days, un piccolo miracolo di semplicità e poesia
Ho appena terminato di guardare Perfect Days di Wim Wenders, che con questo film torna a raccontare l’essenziale.
Lo fa con uno stile asciutto e contemplativo, capace di restituire dignità e bellezza ai gesti più ordinari.
Protagonista assoluto è Hirayama (interpretato con straordinaria delicatezza da Kōji Yakusho, premiato a Cannes come miglior attore), un uomo solitario che vive a Tokyo e lavora come addetto alle pulizie nei bagni pubblici della città. Ogni giorno, segue la stessa routine con meticolosa calma: si sveglia all’alba, si lava, beve il suo caffè, prende il furgone e parte per il lavoro. Durante il tragitto ascolta le sue cassette di musica anni ’60 e ’70 — Lou Reed, Patti Smith, The Animals — e la giornata scorre in un ritmo silenzioso ma ricco di senso.
La trama si sviluppa lentamente, in un tempo che pare sospeso, scandito dal ciclo quotidiano di Hirayama e dalle sue piccole abitudini: scattare foto con una vecchia macchina analogica, pranzare con semplicità, prendersi cura delle piante sul davanzale, leggere un libro prima di dormire. Ma dietro questa ripetizione rituale si intravede una vita interiore intensa, piena di sfumature, fatta di emozioni trattenute e di memorie taciute.
Le sorprese arrivano sotto forma di piccoli incontri: una nipote adolescente che rompe la quiete con la sua irrequietezza, una collega più giovane che osserva il protagonista con curiosità e affetto, un barbone con cui condivide un pasto. Tutti elementi che insinuano lentamente delle crepe nella superficie calma della sua esistenza, rivelando un passato che Hirayama ha scelto di lasciarsi alle spalle ma che continua a vivere nei suoi silenzi.
Wenders costruisce un ritratto poetico, delicato e umanissimo, lasciando spazio al non detto, allo sguardo, al respiro delle immagini.
Perfect Days è un film che si nutre della bellezza delle piccole cose, della luce che filtra tra le foglie degli alberi, del suono dell’acqua, della musica che accompagna i momenti più intimi. Non c’è retorica, non ci sono spiegazioni: solo la forza del presente e l’accettazione della vita così com’è.
Il titolo, tratto dall’omonima canzone di Lou Reed, è emblematico: i “giorni perfetti” non sono quelli straordinari, ma quelli in cui si riesce ad abitare pienamente il proprio tempo, senza desiderare altro. In questo senso, Hirayama è un personaggio che incarna una forma rara e profonda di libertà.
Perfect Days è un inno silenzioso alla dignità della routine, alla gentilezza invisibile, alla bellezza nascosta nell’apparente banalità del quotidiano. Un film che invita a rallentare, a osservare, a sentire. Un piccolo capolavoro di misura e umanità, firmato da un regista che ha ancora molto da dire — con pochissime parole.

